la boje, agli inizi del canto sociale italiano

Si tende generalmente a individuare ne La boje il momento genetico del moderno movimento contadino italiano, come pure del canto sociale italiano di area contadina . Siamo negli anni Ottanta dell’Ottocento, nella pianura padana; tra il 1882 e il 1886 i contadini del Polesine insorgono al grido di «La boje, la boje, e de boto la va fora» (bolle, bolle, e all’improvviso vien fuori, trabocca): chi bolle, e trabocca, è la rabbia dei braccianti, che per la prima volta insorgono -in moti spontanei e poi organizzati- contro la politica padronale della nuova azienda capitalista, rivendicando l’applicazione di tariffe più eque per il lavoro bracciantile .
Leggiamo alcuni brani estratti dal «Resoconto analitico e stenografico del dibattimento cominciato nel giorno 16 febbraio 1886 dinanzi alla Corte d’Assise di Venezia » [Processo dei contadini mantovani alla corte d’assise di Venezia, Stabilimento tipografico di Carlo Ferrari, Venezia 1886], ossia dagli atti del processo giudiziario intentato, con pesantissimi capi d’accusa, nei riguardi di ventidue contadini mantovani; il processo, iniziato nel febbraio del 1886, si concluse qualche mese dopo con l’assoluzione di tutti i partecipanti : «la Corte d’Assise assolse gli imputati e la sentenza ebbe un’ampia eco: indirettamente vennero sanciti i diritti sindacali di sciopero e di libera associazione ». Primo dei ventidue imputati è «Sartori cav. Eugenio, fu Daniele, d’anni 44, nato a Castel d’Ario, domiciliato in Mantova, vedovo con prole, Ingegnere, già ufficiale d’artiglieria; detenuto dal 26 marzo 1885 »; Sartori era stato, infatti, l’organizzatore della Società di Mutuo Soccorso fra i contadini della provincia di Mantova. Al ventesimo posto Antonio Vernizzi, «già condannato per sciopero»; tra i capi d’accusa, alcune sue invettive contro gli affittuari che lasciano morire di fame i contadini, e l’esser risultato «possessore di una stampiglia portante una canzone col titolo : Lamento degli italiani, e del giornale La Favilla portante l’articolo … che finisce colle parole ci vedremo alle barricate».
Tra i capi d’accusa generali, rivolti a tutti gli imputati, è detto che «Si scrive sulle muraglie La boie, evviva la comune, all’armi contadini: l’unione fa la forza, evviva la rivoluzione. Al grido La boie si fa in Revere una dimostrazione che si sciolse in presenza della Pubblica Forza e dopo ottenuto un lieve aumento di mercede. […] sono affissi dei cartelli di vario tenore e tutti in senso sovversivo e sono anche sentiti dei canti che dicono: L’Italia è ammalata; Sartori è il medico, per farla guarire occorrono le teste dei signori ». Alcuni elementi della requisitoria pronunciata dal Pubblico Ministero durante l’udienza del 23 marzo ci paiono assai degni di nota:
Le condizioni della sicurezza pubblica erano dunque normali. Si organizzano le Società Sartori e Siliprandi, e ad un tratto alla tranquillità subentra l’agitazione […]. Che il grido «la boje» grido d’impazienza, di rabbia e di minaccia, fosse il saluto ai proprietari, ne dissero un’infinità di testi e la prova voi l’avete nei giornali ultra democratici di quei giorni ed anche nella Favilla del 12 maggio 1885 che porta appunto uno dei suoi articoli più violenti, intestato «la boje». Che frotte non di uomini, ma quel che è peggio di fanciulli, gridassero che si doveva giuocare alle boccie colle teste dei signori ve lo dissero non soltanto alcuni Carabinieri ma anche alcuni proprietari […]. Che si andasse cantando – L’Italia l’è malada, Sartori l’è il dotur, per far guarir l’Italia ghe vol la testa dei Signur – risulta da rapporti ufficiali e testimonianze, e credo che difficilmente vi persuaderete che questa amena strofetta sia il parto del genio poetico di un delegato di P[ubblica] S[icurezza] o di un R. Carabiniere. Che si parlasse di dividere le terre ve lo hanno egualmente deposto alcuni proprietari […]. Che sulle muraglie si trovasse scritto evviva la Comune, all’armi contadini, evviva la rivoluzione anche questo lo avete inteso .
Ci sembra necessario sottolineare, all’interno della requisitoria, almeno due elementi: la presenza costante del «grido “la boje”»,  e la testimonianza concorde che non solo i braccianti ma anche il resto della società contadina, persino i ragazzi, cantassero «l’amena strofetta» che oggi conosciamo col titolo di La boje.

Il brano,  che fu ben diffuso fra il bracciantato agricolo della pianura padana tra il 1882 e il 1886, tornerà ad essere utilizzato in altri contesti nella storia del proletariato settentrionale;  se ne conoscono, oltre a quella più nota , altre quattro versioni che differiscono tra loro soltanto nel nome del protagonista (Enrico Ferri, Vladimir Lenin, Palmiro Togliatti, Giuseppe Garibaldi):

L’Italia l’è malada
e Sartori l’è ‘l dutur
per  far guari’ l’Italia
tajem la testa ai sciür[1].

La boje


[1]Le versioni furono raccolte rispettivamente da R. Leydi nel 1967 a Sermide (MN), da G. Bosio nel 1969 in Romagna (inf. anonima), da C. Bermani nel 1964 a Brescia (inf. una ex mondina emiliana) e nel 1965 a Cavaglio d’Agogna; incise in Canti e inni socialisti, vol.1, Dischi del sole, 1962; Avanti popolo, Se otto ore son troppo poche, cit.; Avanti popolo, Togliatti l’è ‘l dutur (registrazione Bermani 1964).

Informazioni su controCanto

Controcanto (un blog sulla storia e la memoria cantata). Qualche volta, dagli affreschi e dai quadri, i loro visi ci fissano. Ma dai libri quasi mai ne intendi la voce. Le loro generazioni hanno formato la lingua che parliamo, la sintassi dei nostri pensieri, l’orizzonte delle città, il presente. Ma la coscienza che anno dopo anno, mietitura dopo mietitura e pietra dopo pietra, essi formavano ai signori e ai padroni, quella coscienza non li riconosceva . Li ometteva. Confondeva le loro voci con quelle degli alberi o degli animali da cortile. Questi canti sono stati uditi – quando sono stati uditi – tutt’al più come voce di una cultura separata e arcaica; ma noi oggi sappiamo che essi esprimono un mondo di dominati in contestazione e in risposta. (F. Fortini, didascalia per lo spettacolo Bella Ciao, 1964)
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