Cantavamo, cantiamo e canteremo. Moni Ovadia per il Circolo Gianni Bosio

Questo il comunicato scritto da Moni Ovadia per lo spettacolo “Cantavamo, cantiamo e canteremo. Canti per l’uguaglianza” che si terrà il 22 aprile 2013 al teatro Vittoria di Roma in sottoscrizione per il Circolo Gianni Bosio:
“Cantiamo per il Circolo Gianni Bosio” – (Moni Ovadia – 22 aprile 2013,  h. 21 Teatro Vittoria, Piazza Santa Maria Liberatrice, 10 – Roma)

Il Circolo ” Gianni Bosio” da molti anni e per molti anni è stato e continua ad essere un
punto di riferimento culturale e politico per l’identità più autentica del nostro paese, per la storia delle sue classi lavoratrici che si è espressa con straordinaria tensione creativa nella narrazione orale, nel canto e nella musica. Le meste e retoriche attività celebrative per il centocinquantesimo anniversario della fondazione dell’italia promosse dalle istituzioni hanno letteralmente ignorato questo immenso patrimonio tradizionale che è vivo ed è sempre in grado di comunicare valori e modi di vita. E non hanno neppure lontanamente rivolto l’attenzione ai processi culturali in continua evoluzione che si generano con l’apporto variegato e preziosissimo dei nuovi italiani ed europei portati dalle migrazioni e dal conseguente insediamento nei tessuti delle grandi metropoli, delle cittadine ma anche delle campagne.
È il circolo “Gianni Bosio” che, fra le sue attività, progetta il lavoro sul campo e la sua elaborazione per mettere a disposizione degli studiosi e degli appassionati un materiale di inestimabile valore per il presente e il futuro della nostra disastrata cultura.
Lucilla Galeazzi, Paolo Rocca, Fabrizio Cardosa, Fiore Benigni, Luca Balsamo ed io siamo felici di poter rappresentare il nostro recital “Cantavamo, cantiamo, canteremo – Canti per l’uguaglianza” a sostegno del “Gianni Bosio” che in un paese civile sarebbe considerato un’istituzione di interesse nazionale. Diamo il nostro piccolo contributo per sollecitare l’Italia a svegliarsi dalla tossicosi di corruzione, volgarità e di marasma sottocuturale che l’ha narcotizzata e riconoscere realtà come il “Bosio” al fine di ritrovare il cammino del senso. (Moni Ovadia)

MoniOvadiaA4 (WEB)    clicca qui per la locandina dello spettacolo

Pubblicato in General | Contrassegnato , | Commenti disabilitati su Cantavamo, cantiamo e canteremo. Moni Ovadia per il Circolo Gianni Bosio

Rinfreschiamoci la memoria – Ottave sul leone di Neghelli

Dante Bartolini – Ottave

Mentre c’è chi costruisce mausolei, ad Affile, per celebrare le gesta del macellaio di Arcinazzo, rinfreschiamoci la memoria con queste ottave composte da Dante Bartolini, comandante partigiano della Brigata Gramsci. Le ottave furono composte in seguito alla scarcerazione di Rodolfo Graziani, viceré d’Etiopia e “leone di Neghelli”, condannato a 19 anni di reclusione per crimini di guerra. La scarcerazione fu di poco successiva all’arresto, e la dimenticanza dev’essere stata generale, visto che oggi possiamo vantare nella spesa pubblica della regione Lazio, giunta Polverini, agosto 2012, la costruzione di un “sacrario” per celebrare le gesta di tanto illustre personaggio.

qui http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=9360 un interessante articolo che ricostruisce ampiamente la vicenda.

Al di là degli schemi retorici dell’ottava rima (che magari alle nostre orecchie appaiono arcaici e superati), e della retorica di partito chiaramente espressa negli ultimi versi di questo componimento, quel che qui preme sottolineare a Dante Bartolini è il legame di continuità, indiscusso e indissolubile,  che dal fascismo conduce ai governi democristiani. Fino ai giorni nostri, possiamo dire oggi, mentre ci prepariamo alla manifestazione antifascista che si terrà ad Affile il prossimo 25 aprile, ricordando che Graziani è “quello che ha massacrato tanta gente”, un criminale di guerra, e che non c’è ragione alcuna per costruire in suo onore alcun monumento.

Registrazione effettuata da Sanro Portelli a Casteldilago (TR) nell’aprile 1972, a casa di Dante Bartolini, depositata in Archivio Sonoro “Franco Coggiola” [www.circologiannibosio.it], fondo Alessandro Portelli, serie “Terni e Valnerina”.

“Ora vi dirò chi fu Graziani,

quello che ha massacrato tanta gente.

Che ha impiccato tanti partigiani

Accanto allo straniero prepotente,

difese lo straniero in questa terra

contro gli italiani fece la guerra.

Fece tra di noi serra serra

Per far venire qua gli americani

E fargliela occupar la nostra terra

Perché avea paura degli italiani

Ogni italiano che offensiva sferra

Presto distrugge ai traditori i piani:

Dal tribunale viene condannato

Togliendo i gradi a andare carcerato.

 

Questo governo poi lo ha liberato

Perché ha fatto bene i suoi interessi

Di star tranquillo ognuno ha assicurato

Facendo gli italiani tutti fessi.

A quelle mamme che il figlio hanno impiccato

Non firmeranno a lui quei permessi

Che poverine gli sanguina il cuore

Gridando vendetta al traditore.

 

Questo governo di cristiano amore

Abbraccia il leone di Neghelli

Dicendo “vien da me, o malfattore”

Che troverai aperti i tuoi cancelli

Disse Graziani al suo benefattore

“Tra noi non faremo mai duelli

Anzi, così voglio ricompensare

Il voto di fiducia voglio dare”.

 

In piazza fingono poi da litigare

Per ingannare il popolo italiano

Se in trappola qualcuno può cascare

Certo che non ha il cervello sano

L’intelligente sa considerare

Non vuol cascare più dentro il pantano

Cercherà di fare nuova conquista

O dare il voto al partito comunista”.

 

Anche questo è un Controcanto.

 

Pubblicato in General | Contrassegnato , , , | 1 commento

All’alba se ne vanno gli operai. Lo sciopero a rovescio nella piana del Fucino, 62 anni dopo

I contadini del Fucino in lotta elaborarono numerosi slogan e canti per denunciare la condizione di sfruttamento sulle terre del principe Torlonia e celebrare le vicende dello sciopero a rovescio, iniziato il 6 febbraio 1950.  In tutti i paesi della Marsica si cantarono, durante lo sciopero, canti di lotta che venivano eseguiti nei cortei e nelle assemblee e diffusi su tutto il territorio circostante. Alcuni informatori ne rivendicano la paternità, altri li conoscono come brani anonimi. Sicuramente un ruolo centrale nell’elaborazione del canto contadino a Fucino fu svolto da un contadino di Luco dei Marsi, Sante Panella, al quale si deve attribuire il canto più diffuso sullo sciopero a rovescio, All’alba se ne vanno gli operai; il brano è conosciuto in tutta la zona, e in ogni paese sono state create microvarianti, a testimonianza dell’uso e del valore “sociale” del canto di protesta. Persino coloro che non aderirono allo sciopero ricordano bene che il brano veniva eseguito dai contadini in corteo.

All’alba se ne vanno gli operai è la parodia di Lo stornello del marinaio, brano scritto nel 1948 da E. Bonagura-C.A. Bixio, reso celebre dall’interpretazione di  Luciano Tajoli, e anche noto col titolo di Tango della marina, Tango del mare (Inc.: All’alba se ne parte il marinaio); il brano doveva essere assai diffuso, dal momento che è possibile trovare numerose parodie su quest’aria, diffuse dal Nord al Sud della penisola.

 All’alba se ne vanno gli operai/ a Fucino alle strade a lavorare/ e se il padrone non ci vuol pagare/ saremo noi padroni di quelle strade.// O padro’, scendi giù,/  vieni a fare li conti anche tu,/  se non scendi ti diamo la mano/ questi marsicani non pagano più.//I nostri nonni l’hanno prosciugato,/ i nostri padri l’hanno bonificato/ e noi l’abbiamo ancor fertilizzato/ ed il padrone ci ha solo sfruttato.//  O padro’, scendi giù,/  vieni a fare li conti anche tu,/  se non scendi ti diamo l’addio/ potrete andar via al più presto di qui.//  Attento dove cammini, o sor padrone:/ i braccianti t’ hanno dato una lezione./ E se sapran lottare i contadini/  faremo  tombola dopo la cinquina.//  O padro’, scendi giù,/  vieni a fare li conti anche tu,/  e se volete mandar poliziotti/ saremo più forti a lottar contro te.     

[fine I parte. nei prossimi post il seguito e gli allegati audio]

Pubblicato in General | Commenti disabilitati su All’alba se ne vanno gli operai. Lo sciopero a rovescio nella piana del Fucino, 62 anni dopo

istaraniyeri – musiche migranti a roma e nuovi stornelli d’esilio

 in memoria di  Samb Modou e Diop Mor,

lavoratori senegalesi uccisi a Firenze dall’Italia razzista

“Sono straniero, sono ospite dell’Italia. corro verso la scuola per imparare l’italiano. sono africano, fuggo dagli animali che portano armi; non siamo africani, non siamo europei: ora di dove siamo, tutti noi?”

ISTARANIYERI – (Somalia) (qui il link per ascoltare il brano)

Con questo canto, composto da Geedi Kuule Yusuf (un giovane rifugiato originario di Mogadiscio, studente presso la scuola di italiano per migranti di Asinitas, Roma), si apre il CD Istaraniyeri – Musiche migranti a Roma, realizzato dal Circolo Gianni Bosio – Archivio sonoro “Franco Coggiola” di Roma (curato da Alessandro Portelli e Enrico Grammaroli, www.circologiannibosio.it).  Il CD è il primo volume della collana Roma forestiera, che prende il suo titolo da una vecchia canzone romana del dopoguerra, in cui si lamentava l’assenza di musica nelle strade della capitale, e soprattutto l’assenza della musica della tradizione, soppiantata dall’invasione della nuova musica americana: “Nannare’, perché, perché te sei innamorata/ de ‘sta musica americana?/ ma perchè te sei scordata che sei romana/ e li stornelli nun canti più?”[Roma forestiera, Libianchi – Granozio].

Come spiega Alessandro Portelli nel libretto che accompagna il disco, “Oggi è proprio la ‘Roma Forestiera’ dei migranti, dei rifugiati, delle ‘seconde generazioni’ a riportare la musica nelle strade di Roma”. Così i ricercatori del gruppo Roma forestiera si sono mossi per raccogliere i suoni  -e assieme ad essi le parole e le storie- degli artisti migranti che riempiono le strade, i tram, le metropolitane, e che portano nelle nostre vite un’umanità nuova e un nuovo repertorio di suoni e di cultura.

Sabato scorso, 17 dicembre 2011, mentre a Firenze l’Italia antirazzista sfilava a reclamare che “nostra patria è il mondo intero” (contraddicendo tanta retorica nazionalista a cui pure buona parte del popolo della sinistra non ha saputo sottrarsi nell’anno delle celebrazioni dell’unità nazionale), a ricordare che non esistono confini, che siamo tutt@ clandestin@, che bisogna chiudere i CIE e che bisogna chiudere casapound e togliere ogni possibile spazio di azione e visibilità pubblica ad ogni forma di razzismo e di fascismo, anche da Roma si è levata una voce, un’eco di risposta e di solidarietà, nel concerto di Roma forestiera organizzato  presso il Teatro Centrale Preneste. La coincidenza di date è stata del tutto casuale, eppure la casualità si è rivelata portatrice di un discorso comune, un ponte che da Roma a Firenze parla all’Italia di breve memoria per ricordarle quando “gli italiani” andavano con valigie di cartone, per ricordarle che il mito fondativo della nostra “nazione” vuole che un esule di nome Enea, profugo di terra in terra, sia approdato sui nostri lidi e, sposando la figlia di un re, abbia dato vita a un nuovo popolo. Come ha saputo dire con una chiara semplicità Moni Ovadia, presentando gli artisti migranti sul palco,  e come pure ci ricorda una canzone degli Assalti frontali (“oggi come oggi sarebbe un clandestino/ Enea ma dove vai? Enea ma dove vai?/ Senza il permesso di soggiorno per te saranno guai”). Nel segno di un’apertura e di un superamento dei confini e delle barriere (le stesse che, come ha ricordato Moni Ovadia, fanno sì che il popolo palestinese si costretto a vivere “per metà in una gabbia a cielo aperto e per metà in una prigione a cielo aperto”).

Sul palco si sono alternati i volti e le voci di Anatole Tah, interpete e percussionista ivoriano, di “Mamoste” Abdurrahman Ozel, rifugiato politico curdo (“Tutti hanno un paese, ma per noi curdi è diventato difficile”), di Hevi Dilara, anche lei rifugiata politica proveniente dal Kurdistan (il gruppo musicale di cui faceva parte ha subito l’arresto e la tortura: anche cantare in lingua curda è un atto illegale; uno dei suoi compagni purtroppo non ce l’ha fatta, ed è morto sotto tortura), accompagnata da Serhat Akbal . E poi Roxana Ene, giovane e promettente interprete di origini romene (ma ragazza ben integrata nel suo quartiere romano di residenza, tra la Casilina e la Prenestina), accompagnata alla fisarmonica da Valentina Brandazza, e ancora Isis Rizik, studentessa palestinese, Sergio e Janet, dall’Ecuador (“la musica mi ha dato la dignità”, ha ricordato Janet), Sushmita Sultana, dal Bangladesh. La serata è stata introdotta dall’esibizione del Coro Se…sta voce, il coro multietnico dei bambini e delle bambine della scuola elementare “Iqbal Masih” , coordinato da Attilio Di Sanza e Susanna Serpe:  un’esperienza didattica di integrazione frutto di una scuola pubblica che lavora nella direzione dell’intercultura e resiste agli attacchi di un ministero incapace di riconoscere le proprie eccellenze (http://www.sestavoce.it). A chiudere lo spettacolo, sul palco, un altro coro, “figlio” di questa stessa esperienza: il Coro multietnico Romolo Balzani, diretto da Sara Modigliani, che riprende e amplia le proposte del coro dei bambini ma si apre alle voci di tutte le età, dai 15 ai 99 anni, come si può leggere sulla sua pagina web  (http://www.sestavoce.it/romolo%20balzani.htm) . Nel coro Romolo Balzani ognuno insegna una canzone che ha portato dietro nel suo viaggio, ognuno impara una canzone di un’altra lingua e di un’altra cultura.

“Dimmi bel giovane/ onesto e biondo/ dimmi la patria/ tua qual è./ Adoro il popolo/ mia patria è il mondo/ il pensier libero/ è la mia fe’”: questo canto della tradizione libertaria recupera il suo significato originario e si fa portatore di un nuovo messaggio nel solco della tradizione del più autentico internazionalismo. Qui di seguito la sua interpretazione nelle voci del coro Romolo Balzani, che ha concluso la serata:

Dimmi bel giovane

Anche questo è un controcanto.

Pubblicato in General | Commenti disabilitati su istaraniyeri – musiche migranti a roma e nuovi stornelli d’esilio

due dicembre, giorno nero (Avola 1968)

Avola, due dicembre 1968. muoiono, uccisi dalla polizia, Giuseppe Scibilia (di Avola) e Angelo Sigona (di Frigintini), braccianti in sciopero.

Gli eccidi di contadini, in Italia, non sono storia troppo antica, né si fermano all’approvazione della legge di riforma agraria (la Legge Sila) varata tra il 1950 e il 1951, che avrebbe dovuto “riformare” i contratti agrari, distribuire i terreni incolti ai contadini, sopprimere il latifondo. E che, invece, creò solo una immensa schiera di disperati pronti ad emigrare al settentrione e farsi operai per l’industria, con la complicità dei partiti di governo e soprattutto di quelli di opposizione, PCI in testa: che, si sa, il partito  non sapeva come gestirseli, i contadini, mai troppo politicizzati, mai troppo ortodossi.

Ad Avola, provincia di Siracusa, la sera del 23 novembre 1968 i braccianti agrari entrano in sciopero contro le cosiddette “gabbie salariali”: nel nord della provincia di Siracusa (ossia a Lentini) i braccianti percepivano una paga oraria superiore di poche lire a quella dei braccianti della parte meridionale della provincia. L’aumento richiesto, per uniformarsi al resto della provincia, era di 200 lire. Occupano la strada statale 115, dove il due dicembre la polizia spara, inseguendo i braccianti nei campi. Tre chili di bossoli, rinvenuti sul terreno, furono poi portati a Roma, alla Camera, da un deputato del Pd intervenuto sul posto. Dei risultati dell’inchiesta sui fatti di Avola non si è mai saputo nulla.

L’eccidio di Avola riaccese il Sessantotto degli studenti, che da Trento a Roma a Palermo scesero in piazza contro la polizia e in solidarietà coi contadini di Avola.

I fatti di Avola sono stati messi in musica  nello spettacolo Ci ragiono e canto -del Nuovo Canzoniere Italiano-, su testo di Dario Fo (qui di seguito l’esecuzione di Enzo Del Re, Avola), e dal Canzoniere di Rimini nel brano Avola 2 dicembre 1968, inciso nei Dischi del Sole (DS 73) e poi entrato nell’antologia Avanti Popolo, vol. 5, Compagni dai campi e dalle officine (Cd allegato a Avanti popolo alla riscossa. Due secoli di canti popolari e di protesta civile, a cura dell’Istituto Ernesto de Martino. Milano, Hobby & Work Italiana editrice / Ala bianca Group,  1998).

Quasi nessuno, ad Avola, conosce questi canti.

(Enzo Del Re su testo di Dario Fo, Compagnia Nuova Scena, Ci ragiono e canto)

 

(il Canzoniere di Rimini, Dischi del Sole DS 73)

 

“La lotta intrapresa dai lavoratori agricoli della provincia di Siracusa il 24 novembre 1968, a cui partecipano i braccianti di Avola, rivendicava l’aumento della paga giornaliera, l’eliminazione delle differenze salariali e di orario fra le due zone nelle quali era divisa la provincia, l’introduzione di una normativa atta a garantire il rispetto dei contratti, l’avvio delle commissioni paritetiche di controllo, strappate con la lotta nel 1966 ma mai messe in funzione. Gli agrari rifiutano di trattare sull’orario e le commissioni. Lo sciopero prosegue. Il prefetto di Siracusa convoca di nuovo le parti, ma per due volte gli agrari non si presentano. La tensione sale. I braccianti effettuano blocchi stradali caricati dalla polizia. Il 2 dicembre Avola partecipa in massa allo sciopero generale. I braccianti iniziano dalla notte i blocchi stradali sulla statale per Noto, gli operai sono al loro fianco. Nella mattinata arrivano donne e bambini. Intorno alle 14 il vicequestore di Siracusa, Samperisi, ordina al reparto Celere giunto da Catania di attaccare. La polizia lancia lacrimogeni, ma per effetto del vento il fumo gli torna contro. Divenuti bersaglio di una fitta sassaiola, i militi sparano sulla folla. I manifestanti pensano siano colpi a salve, finché non vedono i loro compagni cadere. Il bilancio è di due braccianti morti, Angelo Sigona e Giuseppe Scibilia, e 48 feriti, di cui 5 gravi: Salvatore Agostino (Jano), Giuseppe Buscemi, Giorgio Garofalo, Paolo Caldaretta, Antonino Gianò. Sul posto furono trovati quasi tre chili di bossoli. Verso mezzanotte il ministro dell’Interno Restivo convoca una riunione fra agrari e sindacalisti, che dura fino al giorno dopo. Il contratto viene firmato, le richieste dei braccianti sono state accolte”.

(http://www.reti-invisibili.net/avola/)

 

Pubblicato in General | Commenti disabilitati su due dicembre, giorno nero (Avola 1968)

la boje, agli inizi del canto sociale italiano

Si tende generalmente a individuare ne La boje il momento genetico del moderno movimento contadino italiano, come pure del canto sociale italiano di area contadina . Siamo negli anni Ottanta dell’Ottocento, nella pianura padana; tra il 1882 e il 1886 i contadini del Polesine insorgono al grido di «La boje, la boje, e de boto la va fora» (bolle, bolle, e all’improvviso vien fuori, trabocca): chi bolle, e trabocca, è la rabbia dei braccianti, che per la prima volta insorgono -in moti spontanei e poi organizzati- contro la politica padronale della nuova azienda capitalista, rivendicando l’applicazione di tariffe più eque per il lavoro bracciantile .
Leggiamo alcuni brani estratti dal «Resoconto analitico e stenografico del dibattimento cominciato nel giorno 16 febbraio 1886 dinanzi alla Corte d’Assise di Venezia » [Processo dei contadini mantovani alla corte d’assise di Venezia, Stabilimento tipografico di Carlo Ferrari, Venezia 1886], ossia dagli atti del processo giudiziario intentato, con pesantissimi capi d’accusa, nei riguardi di ventidue contadini mantovani; il processo, iniziato nel febbraio del 1886, si concluse qualche mese dopo con l’assoluzione di tutti i partecipanti : «la Corte d’Assise assolse gli imputati e la sentenza ebbe un’ampia eco: indirettamente vennero sanciti i diritti sindacali di sciopero e di libera associazione ». Primo dei ventidue imputati è «Sartori cav. Eugenio, fu Daniele, d’anni 44, nato a Castel d’Ario, domiciliato in Mantova, vedovo con prole, Ingegnere, già ufficiale d’artiglieria; detenuto dal 26 marzo 1885 »; Sartori era stato, infatti, l’organizzatore della Società di Mutuo Soccorso fra i contadini della provincia di Mantova. Al ventesimo posto Antonio Vernizzi, «già condannato per sciopero»; tra i capi d’accusa, alcune sue invettive contro gli affittuari che lasciano morire di fame i contadini, e l’esser risultato «possessore di una stampiglia portante una canzone col titolo : Lamento degli italiani, e del giornale La Favilla portante l’articolo … che finisce colle parole ci vedremo alle barricate».
Tra i capi d’accusa generali, rivolti a tutti gli imputati, è detto che «Si scrive sulle muraglie La boie, evviva la comune, all’armi contadini: l’unione fa la forza, evviva la rivoluzione. Al grido La boie si fa in Revere una dimostrazione che si sciolse in presenza della Pubblica Forza e dopo ottenuto un lieve aumento di mercede. […] sono affissi dei cartelli di vario tenore e tutti in senso sovversivo e sono anche sentiti dei canti che dicono: L’Italia è ammalata; Sartori è il medico, per farla guarire occorrono le teste dei signori ». Alcuni elementi della requisitoria pronunciata dal Pubblico Ministero durante l’udienza del 23 marzo ci paiono assai degni di nota:
Le condizioni della sicurezza pubblica erano dunque normali. Si organizzano le Società Sartori e Siliprandi, e ad un tratto alla tranquillità subentra l’agitazione […]. Che il grido «la boje» grido d’impazienza, di rabbia e di minaccia, fosse il saluto ai proprietari, ne dissero un’infinità di testi e la prova voi l’avete nei giornali ultra democratici di quei giorni ed anche nella Favilla del 12 maggio 1885 che porta appunto uno dei suoi articoli più violenti, intestato «la boje». Che frotte non di uomini, ma quel che è peggio di fanciulli, gridassero che si doveva giuocare alle boccie colle teste dei signori ve lo dissero non soltanto alcuni Carabinieri ma anche alcuni proprietari […]. Che si andasse cantando – L’Italia l’è malada, Sartori l’è il dotur, per far guarir l’Italia ghe vol la testa dei Signur – risulta da rapporti ufficiali e testimonianze, e credo che difficilmente vi persuaderete che questa amena strofetta sia il parto del genio poetico di un delegato di P[ubblica] S[icurezza] o di un R. Carabiniere. Che si parlasse di dividere le terre ve lo hanno egualmente deposto alcuni proprietari […]. Che sulle muraglie si trovasse scritto evviva la Comune, all’armi contadini, evviva la rivoluzione anche questo lo avete inteso .
Ci sembra necessario sottolineare, all’interno della requisitoria, almeno due elementi: la presenza costante del «grido “la boje”»,  e la testimonianza concorde che non solo i braccianti ma anche il resto della società contadina, persino i ragazzi, cantassero «l’amena strofetta» che oggi conosciamo col titolo di La boje.

Il brano,  che fu ben diffuso fra il bracciantato agricolo della pianura padana tra il 1882 e il 1886, tornerà ad essere utilizzato in altri contesti nella storia del proletariato settentrionale;  se ne conoscono, oltre a quella più nota , altre quattro versioni che differiscono tra loro soltanto nel nome del protagonista (Enrico Ferri, Vladimir Lenin, Palmiro Togliatti, Giuseppe Garibaldi):

L’Italia l’è malada
e Sartori l’è ‘l dutur
per  far guari’ l’Italia
tajem la testa ai sciür[1].

La boje


[1]Le versioni furono raccolte rispettivamente da R. Leydi nel 1967 a Sermide (MN), da G. Bosio nel 1969 in Romagna (inf. anonima), da C. Bermani nel 1964 a Brescia (inf. una ex mondina emiliana) e nel 1965 a Cavaglio d’Agogna; incise in Canti e inni socialisti, vol.1, Dischi del sole, 1962; Avanti popolo, Se otto ore son troppo poche, cit.; Avanti popolo, Togliatti l’è ‘l dutur (registrazione Bermani 1964).

Pubblicato in General | Commenti disabilitati su la boje, agli inizi del canto sociale italiano